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Mandava baci al cielo


          di Stefano Borghi


“Cosa fa quel mongoloide, bacia l’aria?”
“No, Dottore, manda baci al cielo. A Dio.”
“E’ proprio un idiota; ma nessuno gli ha mai detto che Dio non esiste?
E anche se esiste, si diverte; a Dio non importa nulla di quelli come lui, sennò mica li avrebbe ridotti così.
Mi fa schifo, ma quanto potrà vivere?”

Posò la tazzina del caffè, prese la mazzetta dei quotidiani e se la infilò sotto il braccio; diede un’occhiata allo specchio, guardò come stava nel suo abito da duemila euro; prese la ventiquattrore e uscì, l’autista lo stava aspettando.

Il Dottore è il mio datore di lavoro; il mio padrone, come direbbe lui. Una persona che ha più soldi di quanti potrebbe spenderne in un paio di vite.
Ogni sua azione è finalizzata al guadagno; anche i suoi gesti di beneficenza, le elargizioni, hanno un secondo fine. Niente è per niente.
Ha cinquant’anni, due figli sicuri e altri presunti chissà dove, una moglie per contratto e una serie di signorine, rigorosamente sotto i trenta, che gli tengono compagnia.
Non crede a nulla, se non a se stesso; riceve solo Direttori generali, personalità, proprietari d’intere catene d’alberghi o negozi, Cardinali; i preti sono per i poveri.
Ha un sorriso per tutti, falso come i suoi denti di porcellana, e una stretta di mano vigorosa e sincera solo se chi gli sta di fronte è in grado di muovere milioni con una semplice telefonata.
Gli piace ammirarsi ed essere ammirato, nella sua apparente perfezione, e nasconde i suoi reali pensieri e la sua meschinità.
Odia i neri, i disabili, i diversi, tutti quelli che non sono come gli altri; non come lui, certo, quello è quasi impossibile.
Ogni giorno prende il caffè nel portico della sua villa, che essendo rialzata domina sulle confinanti.
“Il mongoloide”, come lui lo chiama, non è altro che il figlio del suo vicino di casa, benestante, ma non come lui; inoltre è “un profondo idiota” per aver permesso che nascesse un bambino così.
“Fosse mio figlio lo avrei ucciso, non ci dovrebbe essere nessuna pena per l’eliminazione di certi soggetti, ma un premio, semmai.”
Adesso che è estate il ragazzo è spesso in giardino, sotto un grande albero; sta lì, ogni tanto si sbraccia e da quando gli hanno spiegato che Dio lo guarda e gli vuole bene, lui manda baci al cielo e si sente felice.
Il mio padrone non manca di guardarlo: sorseggia il suo caffè in piedi e commenta sempre a voce alta.
Io ascolto in silenzio.

Sono il capo della servitù e governo la sua casa; so molte cose e il mio silenzio è ben pagato. Del resto, ho famiglia e devo mantenerla; la mia opinione non è molto importante e nemmeno richiesta.
Mi sento un po’ vigliacco, a volte, ma parlare vorrebbe dire essere licenziati e chi ne guadagnerebbe?

Vorrei dirgli che mi dà fastidio, quando guarda come fosse uno spettacolo e poi commenta con tanta cattiveria.

Non sa che io conosco quel ragazzo e la sua famiglia; nel mio tempo libero, quando posso, vado a trovarlo.
Sono persone di grande umanità e il ragazzo, nonostante tutto, è sereno.
Prega spesso; forse non ne comprende bene il senso, tralascia alcune parole e sono certo che non si è mai chiesto se quella sua nenia arrivi alle orecchie o al cuore di qualcuno.
Probabilmente nemmeno gli interessa.
Quando ha finito, la badante o chi è con lui gli dice bravo, e lui si sente tranquillo e felice.
Allora tende la sua mano verso l’alto in segno di saluto e con l’altra manda baci al cielo.

Non so quale sia il motivo, ma il dottore quel ragazzo lo ha sempre odiato.
Odiato, è il termine che ha usato lui.
Io penso che paradossalmente possa essere invidia.
Di una vita che ha i giorni contati, fatta di privazioni e sofferenza ma che nonostante tutto sfocia in serenità. Inconsapevole, forse, ma serena.
E questo sentimento di odio, rabbia o come lo si vuole chiamare, da qualche tempo si è acuito ancora di più.
Probabilmente dipende dal cancro ai polmoni che lo sta lentamente divorando.
Non è possibile fare niente, è una forma rara, incurabile.
In certi giorni, non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto.
Soffre, impreca, bestemmia; è veramente difficile stargli vicino, ma la paga è ottima.

Non penso ad una punizione divina, o ad una Giustizia superiore. Di qualche cosa si deve pur morire e, se devo essere sincero, nemmeno io credo in Dio.
Solo che il destino ha deciso così.
Ma lui non lo accetta; impreca e sa che sono i suoi ultimi giorni.

Penso che è strano: a pochi metri di distanza la morte tra breve si porterà via due persone, così diverse, in tutto.
Lei non fa differenze, un po’ mi è simpatica per questo.

Oggi ho chiesto al mio padrone se avesse firmato quella lettera di raccomandazione; sono sano e devo lavorare per vivere. Mi ha guardato, ha detto sì, ma non ha aggiunto nulla.
Poi mi ha urlato di andarmene via, che sono un bastardo, e ha ripreso a bestemmiare.
Io ho ubbidito, come ho sempre fatto del resto, e gli ho detto che era un peccato che non si fosse potuto alzare.
C’era un bellissimo sole e dal portico della villa, a trenta metri di distanza, avrebbe potuto vedere il suo vicino di casa, seduto sulla carrozzina, con una coperta sulle gambe, perché per lui è sempre troppo freddo, con la testa leggermente inclinata e un sorriso distorto.
“Sa, Dottore? Ho saputo che è peggiorato ancora, ma anche stamattina ho visto che mandava baci al cielo.”





Montmartre Path with Sunflowers [1887] - Vincent van Gogh



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