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Il rebus



     Un formicolio diffuso per tutto il corpo accompagnò il suo risveglio. Fece mente locale e, sedendosi con notevole sforzo, si guardò intorno. Gli altri giacevano ancora nei loro abitacoli, in stato di profonda ibernazione.
Il computer l’aveva prescelta per risolvere un’emergenza.
Lesse gli ordini sul monitor: il viaggio si prospettava più lungo del previsto (non veniva specificato il motivo), si rendeva pertanto necessaria l’eliminazione di venti individui, per assicurare la sopravvivenza degli altri.

     Conosceva benissimo le disposizioni. Il computer di bordo, programmato alla partenza, in ogni minimo particolare, perché potesse risolvere qualsiasi problema, in questa particolare situazione, non poteva agire da solo: secondo il protocollo, la responsabilità della scelta doveva essere affidata ad un umano, della cui identità non sarebbe rimasta traccia alcuna nella memoria di bordo.

     Per un attimo sperò di trovare da qualche parte chiare indicazioni, circa il criterio da seguire nella scelta. Controllò le schede sanitarie di tutti i passeggeri della nave: nessuno presentava danni, nonostante la lunga permanenza in quello stato di morte apparente. I casi di deterioramento irreversibile venivano risolti dal computer, secondo la procedura standard.
Lesse e rilesse scrupolosamente le caratteristiche di ciascuno. Non trovò nulla che potesse suggerire un valido criterio di selezione, nemmeno l’età, perché era necessario che questa rimanesse varia fra i superstiti, così che i giovani potessero avere modelli utili alla loro crescita.

     Più prendeva coscienza dell’inquietante situazione, più rifiutava l’idea di arrendersi al freddo protocollo, che esigeva da lei una passiva obbedienza ed una scelta puramente casuale.
“Perché proprio io?” Domanda legittima: anche in questo caso la scelta era stata fortuita?
Il cervellone non ragiona, ma ha le sue ragioni, dunque perché lei?
Controllò le sue note caratteristiche: le veniva attribuita notevole capacità d’analisi ed era considerata idonea a risolvere situazioni problematiche. Forse la macchina aveva molto “umanamente” -se ciò fosse stato possibile- avvertito la necessità di una supervisione?

     Non contò le ore passate in questo stato di incubo. Le spie luminose, che lampeggiavano ancora, le mettevano fretta, mentre lei aveva bisogno di capire. Le spense, disattivò il potere decisionale del computer centrale e si prese tutto il tempo per riflettere. Finalmente aveva compreso cosa le veniva richiesto: ragionare da essere umano!

     Azzardò un’ipotesi, la più razionale possibile: errore di rotta.
Ordinò al cervellone una verifica completa ed incrociata di tutti i dati relativi alla rotta, dal momento della partenza. Ma fu solo la prima mossa: avrebbe continuato a formulare nuove ipotesi e ad indagare fino a missione compiuta.


[10/11/2005]



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