giardino d’infanzia
di
alessandro maria jetti
Cinque erano i tigli
sparsi nel mio giardino,
soltanto cinque gli amati
e cari miei fratelli,
cresciuti nell’adagio
accanto insieme ai gigli
nel verde di quel prato.
Oh la miniatura sempre visitata
di volti tra le care mura
screpolate, le innocenti grida
perchè sovente la campana sorda
fosse del richiamo al desinare.
E tanti, tanti pensieri lontani...
consunti oramai alle strida
affollanti il tempo dei ricordi,
di quanto si poteva amare ancora!
...ora che la memoria conta quelli
dalla vernice tolta del prim’atto,
rimasti orpelli di scena recitata
in quel distratto, loro tutti quanti,
rigoletto gioco da bambini...
*******
Cinque frondosi tigli
sradicati dal mio giardino...
i volti amati e sbiaditi dai
ricorrenti sogni, le fugaci carezze
in un limbo di passati incontri,
le belle e chiassose tavolate
ai colorati dolci del Natale...
...quel tempo degli accorati pianti
e le risa pur sempre ritrovate
alle accorte promesse d’allora,
adesso, ai musicisti della storia,
son concesse distorte quelle note!
Adesso, ch’è scaduta allegoria
ed è perduta noia a dire messe
eppure è santo quando lo rendete
questo blasfemo nostro carnevale,
Voi dipingete accanto ai vecchi tigli
le sepolture d’una distrutta gioia
raffigurante in tutta la kèrmesse
cinque, cinque figure smorte,
seme fratello un giorno,
oggi soltanto insieme come figli
per un destino comune nell’avello.
*******
Sotto l’ombra dei miei cinque tigli
non batte l’ora più della campana
alla raccolta di quelle roche voci,
quando la conta d’una mia prodezza
era la scòlta su di voi sospeso
ai pochi appigli, quella certezza
che dà il confronto con il viso acceso.
Svèlti i fratelli miei, quei sogni
e speranze giacciono ambedue grèvi
tra le mura diroccate, compiutamente
arcàna e sepolta ogni passione,
ingenue svelate le credenze.
Così, così affondo e lacero rabbioso
le mani in cerca di radici vostre,
in quel sabbioso macero le unghie
che sui fronti della vita m’affilai.
Voi foste allora quelli che mi deste,
amati tigli, una fiducia ancora,
quando rabbini ai piedi v’abbracciai
e vi richiesi, muta la preghiera,
d’aver sospesi ognora ai rami vostri
tutti i futuri e acerbi sogni miei.
[1972]
[da: "notturno, ore tre" ]
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