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“Al di là del muro”
– storia di Gildo -


di Rodolfo Vettorello



Ed. Golden Press – Via Polleri, 3 – 16125 Genova – tel. 010-252271 [www.goldenpress.it]



L’ho letto tutto d’un fiato, accanto al computer acceso, silenzioso compagno. Un plaid addosso ed una ciotola di cioccolatini per aiutarmi a tirar tardi… Senza il computer non avrei mai incontrato queste pagine, perché non avrei mai conosciuto il Poeta della porta accanto, che, pochi giorni fa, me le ha donate.
Un libretto dall’aspetto modesto, come tanti libretti simili, ma non è una raccolta di poesie. Nemmeno un romanzone fiume che ti promette tutto già dal peso. Solo un racconto, disteso sul letto dei ricordi, intenso, autentico, che inizia come una poesia e con una poesia:

“Ci incontreremo sulla strada vecchia,
quella che sai
......................................................
... una lastra di marmo col tuo nome.
Il muro intorno
non imprigiona noi ma il mondo fuori.
Di là dal muro l’universo amato.”

[da “GILDO”, dello stesso Autore]

Vive di mille storie, racconta tante vite, mostra paesaggi dispersi nello spazio-tempo dei ricordi, con un unico fulcro, lo stesso punto d’avvio: una casa rossa ed una lunga panca sotto al portico, in un paese piccolo, dove le vicende di tutti si intrecciano e si riflettono le une nelle altre. L’Autore è il custode fedele di queste testimonianze e ce le restituisce con la massima fedeltà possibile, con la spontaneità propria di quella gente, con la loro stessa semplicità, carica di forza, di silenziose sofferenze e di intuizioni formidabili, figlie del buon senso comune, quello che non si riesce più a ritrovare nel frenetico ritmo della città:

“La vita della comunità si svolgeva tutta intorno alla lunga panca addossata al muro del porticato. La panca era per tutti quelli che, passando sulla strada campestre diretta ai “salet”, i terreni sulla riva del Piave, decidevano per una sosta. […] La panca era il ritrovo di chi veniva da Angelina a farsi leggere le lettere dei familiari emigrati all’estero. […] Leggeva a voce alta le cose più intime e modulava il tono […] Ho imparato dei sentimenti umani e dei pudori di dire. Ho capito che la nostalgia, il rimpianto, la disperazione possono essere pubblici e insieme intimi e discreti.”

Cosa resta dopo la lettura? Restano i profumi dei luoghi, dei sentimenti veri, delle estati serene, dei momenti di un vivere umile e saggio. Restano sensazioni:

“… con il culto delle sensazioni, del momento da vivere in silenzio, nel rispetto di tutti gli uomini, di tutti gli animali, di tutte le cose, anche del sasso che aspetta il tuo colpo di mazza per poter diventare parte della tua casa. […] La sensazione che è carezza come il volo della cavolaia o il salto della cavalletta da un filo d’erba.”

Sensazioni lasciate dalla penna sapiente del Poeta, che si ritrovano nell’intercalare riflessivo che regge l’intreccio dei ricordi e che tratteggia ogni personaggio con brevi pennellate, a sfumare tinte dense di vita, dalla sua:

“… e girare e girare fino a perdere la testa, per fermarsi al fondo, dove l’erba è più alta. E l’emozione di rimettersi in piedi e barcollare come ubriachi e ridere fino a star male.”

a tutte le altre che si incrociano nel breve scorrere del racconto, come Amabile, madre di Gildo, dignitosa contadina, capace di accettare la sua povera condizione “in letizia”:

“Ripensando con gli occhi di oggi, so di aver visto il nulla più nulla che si possa immaginare. Ma non una privazione infelice e disperata ma nemmeno la miseria felice di certe retoriche. […] Una delle mie differenti anime vorrebbe davvero somigliare ad Amabile. Già l’essere Amabile sarebbe un dono raro, essere condannato ad esserlo ed accettarlo sarebbe un’ipocrisia, ma esserlo per libera scelta sarebbe un privilegio e una liberazione […] La sua serenità nella privazione potrebbe diventare in me, se mi venisse concessa, quell’eleganza e leggerezza del vivere che non so raggiungere.”

Condotti per mano attraverso questo mondo semplice ed autentico, si arriva ad una fine inaspettata: la narrazione diventa riflessione filosofica ed insegnamento morale di valori che trascendono ogni cultura, perché scritti nel cuore, prima che in qualsiasi altro documento:

“Più di un viaggio realizzato con tutto il suo bottino di foto e filmati, sembra più carico di significati un sorriso intravisto, un profumo appena intuito, un disegno mutevole di nuvole, un tono irripetibile di luce che nessuna pellicola potrà riportare […] Oppure si può soffocare il bisogno di orizzonti sempre più ampi se si ha dentro di sé la certezza che nessun orizzonte è più vasto della cerchia delle nostre montagne. Che la ricerca del senso dell’esistenza si può chiudere nel breve spazio della propria casa, della propria stanza. Se si crede che nessuna coscienza può diventare più profonda di quella che può crescere stando seduti qui in questo luogo, in silenzio, come un monaco tibetano.”

Il sepolcro di Gildo, su cui l’Autore torna a riflettere, segna la fine di questo racconto, così come il suo ricordo ne aveva dato l’avvio.

Per come la penso io, questo non è solo un racconto, ma un condensato di vita, il succo cavato da tante vite scrutate e amate. È anche qualcosa che appartiene a ciascuno di noi. Quel fondo di esperienza concreta e forte che resta degli anni dell’infanzia, quando ogni cosa è recepita con occhi diversi e ci lascia tracce speciali. Tutti vorremmo avere la lucidità dell’Autore per riuscire a ricordare e riordinare quelle esperienze che tanto ci hanno segnato.

Dunque con molta sana invidia, ripongo il volumetto sullo scaffale delle letture recenti, quelle da tenere sottomano, certa che presto tornerò a sfogliarlo e che ancora mi racconterà nuove sensazioni o mi aiuterà a risvegliare i miei personali ricordi.

Già mi sento di sottoscrivere una sua personalissima confessione, anch’essa rinvenuta, come perla di fiume, fra le righe dei ricordi:

“Per tutte le volte che non ho avuto coraggio, per tutte le volte che ho lasciato che un’ingiustizia prevalesse, per ogni momento di rinuncia alla verità, per ogni istante di codardia, non sono innocente.”



Il racconto ha vinto la XII Edizione del Premio Editoriale “L’INCONTRO” - Sezione C –
con la seguente motivazione:

“Frammenti narrativi, non organizzati cronologicamente, introducono alla conoscenza di luoghi e personaggi, che affiorano dalla memoria illuminati di magica consistenza. Il racconto di Rodolfo Vettorello, narratore di pregio eccezionale, ha un costante respiro lirico in grado di mantenere la tensione della prosa e del recupero delle vicende sempre al livello di massima godibilità.”


[29/12/2007]